61esimo kilometro – pensieri su rotaia


Cioè, no, cioè, sì comunque hai ragione

Bridget Jones non viaggiava in treno. Se fosse stata una pendolare non avrebbe mai tenuto un diario. Perché se puoi sfogarti con un’amica sui sedili blu a pois di una carrozza di seconda classe, che motivo hai di riversare gioie e dolori su una silenziosa pagina immacolata?

«Cioè non so se vuole una donna sottomessa, ma anche se mai troverà una moglie così poi si farà l’amante». A parlare è una studentessa di giurisprudenza che afferma di indossare solo miniabiti. «Cioè guarda a me non piace mettere i jeans, poi se lui è geloso che ci devo fare. Guarda è talmente pesante… Quando stavo con lui alle tre del pomeriggio avevo già mandato tipo cinquanta messaggi». «Si guarda, cioè, pesaaante». L’amica, leggings neri e fondotinta spesso due dita, annuisce a qualsiasi cosa. «Ma cioè poi chi è lui, l’avvocato? Cioè guarda tu sei stata perfetta».

«E tu invece? Esci ancora con quello là di colore?», adesso è la biondina che incalza. «No guarda cioè. Adesso sto uscendo da un po’ con uno che è fidanzato», sorride. «Sì ma niente, mi va bene finché mi diverto». Vai così sorella!

Il discorso ritorna subito sull’ex dell’amica. «Cioè è proprio tutto uguale. Ma nello stesso tempo, cioè, è tutto diverso». E non ci sono più le mezze stagioni. E la frutta ormai non sa più di niente. «Guarda sono davvero delusa». Come ti capisco, tutti così gli uomini. «Ma secondo me lui era davvero innamorato». «Ok, ma allora non può saltare di palo in frasca così». «Sì ma guarda che ci sono persone così. Persone incapaci di stare da sole. Cioè guarda c’è una mia amica che dalla terza media non è mai stata da sola. Cioè uno dopo l’altro, uno dopo l’altro. Sono persone insicure». Eh sì, proprio così le avrei definite. «Cioè tu devi guardare in fondo al tuo cuore». A questo punto ci manca solo che mi si metta a cantare Masini e siamo a posto. Per riassumere Paola chiede una pausa al fidanzato, che peraltro è un suo compagno di università. È esasperata perché lui è assillante ed esageratamente geloso. Lui decide che è finita e appena un giorno dopo vuole rimettersi insieme a lei. Scrive alla madre della ex dicendole «Io sua figlia la amo e me la riprenderò», poi tormenta tutti gli amici di lei, che intanto è talmente provata da rinunciare ad un’incredibile festa di Capodanno in una baita a Castione della Presolana. Lui, che per Natale le ha regalato l’iPod, una tavoletta di cioccolato e una scatola di pennarelli (ma quanti anni hai otto?), si presenta da lei in lacrime. Impazzito di dolore sbaglia ad inviare una lettera d’amore della serie “Ti amo e so che anche tu mi ami” e la spedisce per sbaglio a Francesca, un’amica di lei. Adesso lui se n’è fatto una ragione. Lei lo insulta («Cioè ma guarda, portava i Carrera bianchi, ma ti pare? Cioè troppo tamarro»), segno che non l’ha ancora dimenticato. Lui intanto le racconta della sua nuova fidanzata, Anita («che poi cioè è un nome stranissimo, sembra il nome di un cane»). A quanto pare ha 17 anni e ha dovuto bloccare il proprio contatto facebook per difendersi dal controllo ossessivo della ex. «Boh, guarda, cioè lui corre troppo nella vita. Cioè stai calmo. Dai tempo al tempo. Cioè. Alla fine quando affretti le cose non va mai bene». «Cioè comunque si vede che sei proprio esaurita». Talmente tanto che persino la sua pagina facebook è impazzita e gli ha cancellato metà dei suoi 600 amici. Incredibile che una così abbia 600 amici, eh?

Conclusione adesso lui è felice con un’altra e lei è felice per i cavoli suoi. «Che poi nessuno dei due è felice». «Sì cioè guarda… Ma comunque tu hai fatto benissimo». Certo che avere conferme da una così… Io avrei preferito il caro vecchio diario. Con il lucchetto, s’intende.


Rivoluzione di classe

«Buongiorno signore, salve a lei signorina! Posso offrirle delle noccioline? Un cappuccino e un croissant caldo?». Mentre un gruppo di pivellini del primo anno di corso al Politecnico scherza rumorosamente, io e “Arturo” (non mi è ancora stato dato il permesso ufficiale di rivelare il suo nome) sogniamo un viaggio diverso. Da pendolari di lusso. Senza disinfettare il poggiatesta con l’Amuchina. Senza sentire risate grufolanti a proposito di esami di statistica e matematica avanzata.

Solo la scorsa settimana quei simpaticoni di Frecciarossa hanno annunciato la nuova offerta per i viaggiatori. Niente più prima e seconda classe, ma quattro “livelli di servizio”. Eh già, ormai anche la vecchia divisione tra biglietti più o meno costosi evoca solo i fasti e le miserie del Titanic o dell’Orient Express. L’Alta Velocità è rigorosamente politically correct. Poltrone di pelle e spazi più ampi per chi è disposto a spendere di più, seggiolini foderati di stoffa e più stretti se si vuole risparmiare. Wi-fi per tutti (internet si rivela come sempre un mezzo democratico), ma niente vagoni relax per i passeggeri low cost. Che però avranno sempre il vantaggio di sentire il proprio vicino litigare con la fidanzata (o l’amate), chiedere informazioni dettagliate su cosa ha mangiato il gatto della nonna o semplicemente lamentarsi con un’amica dello scarso rendimento scolastico dei figli.

«La vera rivoluzione sarebbe far arrivare i treni sempre puntuali e puliti», la risposta del Codacons. Vero. Ma certo anche a noi pendolari piacerebbe, una volta tanto, avere uno steward con lo stemma FS sulla divisa che, portandoci il giornale e una tazza di caffè bollente, ci sorridesse come il papà della famiglia Mulino Bianco e ci dicesse: «Grazie per aver scelto Trenitalia. Posso fare altro per rendere più confortevole il suo viaggio?». Sogni ad occhi aperti di due pendolari in una carrozza con il finestrino rotto. D’altronde, siamo in seconda classe.


Cafonal

«I’ve gotta feelin’ that tonight gonna be a good night». Inizia così un viaggio di ritorno sul sedile dietro a un gruppo di ben 9 adolescenti. Meches bionde le “tipe” e capelli rasati in maniera improponibile i “raga”. Sbragati sui sedili alla maniera in cui io butto il cappotto sulla poltrona di casa mia quando, una giornata stressante, ho fretta di mettermi in pantofole dopo. «Amore bello come il bacio, bello come il buio, bello come Dio, amore mio non te ne andareeee». Karaoke stonato, ma almeno conoscono Baglioni. Un iPod condiviso in 4 ragazze, non so come facciano avendo solo due auricolari. Ma evidentemente a 16 anni si può fare. Alla faccia di chi si lamenta quando si dice che gli adolescenti sono dei cafoni. Venghino siori venghino sul regionale delle 18 e 10. Provare per credere. «E con le mani amore per le mani ti prenderò, e senza dire nel mio cuore ti porteròòò». Ogni tanto do una sbirciata per cercare di dare un volto ai miei perlomeno bizzarri compagni di viaggio. Dolcevita con fumetti e strass lilla. Giubbotti neri lucidi tipo sacchetto dell’immondizia. Evidentemente il buon gusto non l’hanno ancora sviluppato. Ma certo Moccia apprezzerebbe.

Ore 18 e 18, «Lambrate, stazione di Milano Lambrate». «Quando arriviamo?», chiede una voce che sbuca dal cappuccio bianco di una felpa. Iniziamo bene. «Miky, dopo mi devi fare chiamare la mamma». «Miii, zero c’ho 80 centesimi! Che gli devi dire?». «Che c’ho il puntello con la Susy per cena». Magari dopo cena fatti un salto anche da un mio amico. Si chiama (De) Mauro e magari ti dà due lezioncine di volgare eloquio. Che non è un insulto, né un piatto tipico toscano.

(S)fortunatamente scendono a Pioltello. Non mi resta che il silenzio dell’impiegato modello seduto di fronte a me. Abito gessato grigio e camicia a righine gialle, blu e celesti. Occhialetti tondi, montatura sottile, calvizie incipiente che non riesce a nascondere nonostante il capello fresco di barbiere. Al polso un braccialettino arancione di silicone, di quelli che andavano di moda nell’estate del 2005 (me lo ricordo perché avevo appena finito la quarta liceo e ce li avevo pure io). Il Sole 24 Ore aperto copre metà dello schermo del mio pc. Evidentemente l’educazione, a volte, non la si impara nemmeno a cinquant’anni.


Luoghi comuni

Camminando verso Lambrate stasera pensavo a un vecchio libro letto da bambina. Parlava di un incredibile maestro di italiano che ogni settimana discuteva con i suoi allievi aboliva un luogo comune. Tralasciando che nell’ingenuità dei miei otto anni ricordo di essermi domandata perché quel bizzarro professore ce l’avesse con piazze e giardinetti, ci sarebbe davvero un gran bisogno di demolire almeno un pregiudizio la settimana. E visto che ormai il treno regionale è arrivato già a Pioltello sbrighiamoci ad abolire il più comune luogo comune sulle nostre povere e disastrate Fs. Spezziamo una lancia (altra frase fatta, ma va bè) a favore della puntualità dei treni regionali. Sono stanca di sentire i non-pendolari lamentarsi che i treni sono sempre in ritardo. Il mio 7 e 16 del mattino non ha mai ritardato. I due-tre minuti non contano, è un ritardo fisiologico, cha anzi quando sei di corsa e rischi che le porte ti si chiudano davanti al naso è pure un dono del cielo. Per non parlare dello svizzero 18 e 48 o del 19 e 18. Sembrerà assurdo, ma lo penso davvero. E io non prendo il treno per caso una volta l’anno. Cosa che invece sembra fare la bionda cinquantenne in attesa a Bergamo del treno per Brescia. Si domanda quando mai arriverà. Alle ore 19 e 38, cara la mia passeggera della domenica. Proprio come sta scritto sul tabellone. E una volta tanto, piantiamola di lamentarci!


L’ironista

Stamattina sul treno regionale 2640 c’è uno dei miei passeggeri preferiti: l’ironista. Maschio, bianco, padre di famiglia sui 45-50 anni, probabilmente impiegato (lo dice il capello impomatato e la cravatta sotto il giaccone sportivo). L’ironista non viaggia. Intrattiene. Racconta episodi non semplicemente buffi e divertenti, ma sconfinanti nell’assurdo. L’inverosimile è il suo pane quotidiano, ma mai nessuno al suo cospetto può permettersi di avanzare il minimo dubbio sulle sue folli gesta. Unica pecca: non puoi ridere. Perché sebbene l’ironista sia uno showman nato, ufficialmente il suo non è uno spettacolo pubblico ma riservato al suo fortunato interlocutore. E anche se sai che l’ironista gode nel vederti pendere dalle sue labbra in attesa che stilli altre incredibili perle di saggezza e gocce di simpatia, la tua missione è guardare impassibile fuori dal finestrino o continuare a leggere gli appunti di fisica avanzata come se fossero la cosa più interessante del mondo.

Una passeggera sale e chiede: “Scusi questo va in Porta Garibaldi?”. E lui, con un sorriso a trentasei denti quasi ad anticipare la grassa risata attesa dopo il battutone… “Non vede che siamo mille camicie rosse?” Ah ah… sigh. Una freddura del genere alle sette e un quarto del mattino merita una menzione speciale. Anche se può fare di meglio. Come quella volta (ricordi Daniele?) che ha raccontato di quando, da piccolo, allo zoo di Milano avesse tirato la coda al leone. Ma questa è un’altra storia e siamo già al cinquantasettesimo kilometro…


Skimbleshanks, the Railway Cat

Oggi sono andata al teatro Allianz a vedere il mio musical preferito: Cats. Uno spettacolo geniale, basato sulle poesie di Thomas Stearn Eliot raccolte ne Il libro dei gatti tuttofare. Assolutamente entusiasta dall’interpretazione della Compagnia della Rancia, che non ha davvero nulla da invidiare ai cast di Broadway, non potevo non dedicare poche righe del mio rail-blog a Skimbleshanks, il gatto delle ferrovie (Sghemboexpress nella versione italiana). Il micio rossiccio delle rotaie è un piccolo macchinista a quattro zampe che supervisiona la puntualità del convoglio postale notturno. Senza di lui niente posta. “Skimble where is Skimble, has he gone to hunt the thimble? We must find him or the train can’t start”, dicono le guardie, i facchini e le figlie del capostazione. Sono i suoi occhi verdi a dare il via al treno, diretto a nord, lungo la costa occidentale britannica. Gli stessi occhi che scrutano i passeggeri dalla prima alla terza classe, passando per i vagoni letto e il ristorante. “He will watch you without winking and he sees what you are thinking”, cantano i Jellicle Cats. Durante il turno di notte, da buon inglese, beve una tazza di tè, magari con un goccio di scotch. Porta un grosso orologio a cipolla appeso al gilet e si preoccupa che tutto sia perfetto durante il viaggio, dalle lenzuola al pavimento delle cuccette. Alzi la mano chi non vorrebbe un capotreno così. Magari alto un metro e ottanta e senza pelliccia rossa…


Se anche i cigni divorziano

Questa mattina niente 61 chilometri. Niente treno. Niente Trenitalia. Ospitata in Porta Venezia, per arrivare al master mi è bastata la metropolitana. Non ho rinunciato però alla rail press, la rassegna stampa da pendolare.

Stamattina per nove fermate si è discusso di ornitologia. Perché anche gli uccelli talvolta possono diventare specchio della società. Il pretesto: una coppia di cigni di Bewick (UK) partiti insieme per le vacanze e tornati lei con un altro pennuto inglese, lui con una bianca russa. Domanda: ma se nemmeno l’amore tra Sarindi e Saruni sopravvive in eterno, che certezze ci restano? Ieri Brad e Angelina, anzi Brangelina, annunciano il divorzio scatenando quasi un caso diplomatico, visto che dovranno spartirsi figli di ben quattro diverse nazionalità (oltre che i tre piccoli statunitensi, la coppia aveva adottato un cambogiano, una bambina vietnamita e una etiope). Notizia smentita, ma ormai il sogno della coppia perfetta è andato in fumo. Per non parlare del “sex-gate” che ha costretto il sindaco di Bologna a dimettersi. O dei battibecchi da prima pagina di Bertinotti e Sora Lella. Anche in questo caso però sembrerebbe che l’emergenza sia rientrata.

Forse abbiamo bisogno di credere che certi amori debbano durare per sempre, perché se anche i sogni si infrangono ci resta solo la realtà. Fatta di amori che finiscono, di progetti che crollano, di treni che si allontanano dalla stazione mentre arrivi correndo.


Buongiorno di City

Per chi dice che sulla free press c’è solo un copia-incolla di notizie Ansa (sì va bè lo so anche io che un po’ è vero…), oggi Lisa Corva ha pubblicato questa poesia sulla prima pagina di City, ispirandosi a un verso di Neruda («E ti bacio la bocca bagnata di crepuscolo», tratta da “20 poesie d’amore e una canzone disperata”).

No, non voglio baciarti in una giornata di sole. Non voglio che sia estate. Non voglio che sia in mezzo alla folla. Vorrei baciarti in una di queste sere d’inverno, quando il sole scolora nel grigio e nel freddo; quando sarà più facile trovare, insieme, l’alba dentro l’imbrunire.

Troppo zuccherosa? Forse. Ma certe mattine il caffè va preso al cioccolato.


Notizie notevoli

City. Leggo. Metro. La mia rassegna stampa da treno. Per farla di kilometri ne bastano 30. Processo breve, Haiti, abbassamento dell’obbligo scolastico a 15 anni. I fatti del giorno ci sono tutti. Ma quello che alle sette e mezzo del mattino apprezzo di più sono le notizie fuffa. Ritrovati pseudoscientifici di fantomatiche università americane, classifiche sui temi più assurdi, gossip trash.

Oggi ho scoperto che:

–         secondo un sondaggio Gallup, i giovani italiani (leggi bamboccioni) sono tra i più pessimisti al mondo riguardo al proprio futuro: 118° posto nella classifica dell’ottimismo. (Mi chiedo perché…);

–         fare l’amore fa bene al cuore e all’umore. Peccato che, secondo l’”American Journal of Cardiology”, i benefici siano riservati agli uomini;

–         gli afroamericani sono meno depressi. (Non ditelo alla Fiamingo…).

Così sì che la giornata parte col piede giusto.


Teoria 08.08

«Quelli nati l’8 agosto non sono normali». È la teoria di un mio amico (quasi) architetto che ho incrociato per caso al binario 7 della stazione di Lambrate. Arturo (nome di fantasia perché l’autore di tale perla di saggezza ha preferito mantenere l’anonimato) sostiene di averne le prove. Una comune amica pendolare, che ha dipinto le ninfee di Monet sulla parete della camera da letto ed è una fan sfegatata di Harry Potter. La sua ragazza Elisa, sulla quale però non ho prove sufficienti per confermare o smentire. Una collega del politecnico che si è rovesciata in faccia un bicchiere d’acqua e ha risposto al fidanzato che fingeva per scherzo di volerla bagnare “Sei contento ora?”, appena prima di alzarsi e andarsene nello sconcerto di tutti i presenti.

Per verificare la sua teoria sono andata alla ricerca di altri leoni illustri nati l’8 agosto.  Pare che tra loro ci siano Mr. Magorium, Capitan Uncino e Rain Man: insomma Dustin Hoffman. Anche in questo caso genio e sregolatezza trovano posto sotto le stelle del 220esimo giorno dell’anno. Abbiamo poi il Leone d’Inghilterra, il pilota di Formula 1 Nigel Mansell, storico rivale di Ayrton Senna, noto per il suo coraggio che lo portava a spericolati sorpassi all’ultima curva. Flavio Arras, doppiatore di Mr. Popo, il servitore del dio della Terra in Dragon Ball, e del Pokèdex, il palmare del Professor Oak nei cartoni animati dei Pokemon. E per chiudere questa eccentrica carrellata ci mettiamo anche il Bhutan (la terra delle tenebre alle pendici dell’Himalaya), che nasce come Stato indipendente proprio l’8 agosto. Unico bizzarro Paese al mondo ad avere come sport nazionale il tiro con l’arco.

Persino l’astrologia sembra dar ragione ad “Arturo”: i figli dell’ottavo giorno dell’ottavo mese sono noti per passare da un’attività all’altra a cuor leggero e senza mai perdersi d’animo. Niente paura però per i pazzoidi dell’8 agosto, secondo i cinesi questo è uno dei giorni più fortunati dell’anno, visto che l’8 rappresenta l’armonia e riassume in sé l’intero cerchio delle possibilità. Speriamo che anche il treno che prendo tutte le mattine, in arrivo a Lambrate alle 8 sul binario 8, sia a conoscenza di questa teoria.